Posts written by MZoo

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    Novara
    21/11/2013 - la rimborsopoli dei consiglieri
    Piemonte, i gourmet del Pdl: la Regione pagava anche il conto del salumiere
    ANSA

    Il presidente del Consiglio Valerio Cattaneo ha spese da gourmet per 30 mila euro
    + Sanità, la Giunta della Regione: 265 milioni per non-autosufficienti

    + Inchiesta sui rimborsi: Cota tentato dalle dimissioni ALESSANDRO MONDO MAURIZIO TROPEANO


    Al novarese La Rocca contestato il rimborso dei manifestini elettorali, Cattaneo ha spese per oltre trenta mila euro. Sotto inchiesta anche gli acquisti di abbigliamento di Boniperti
    massimiliano peggio
    TORINO
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    + I gourmet del Pdl In nota spese il conto del salumiere
    + Nei rimborsi spese dei consiglieri regionali attrezzature da golf e docce solari


    «Quale consigliere regionale della Regione Piemonte e capogruppo del gruppo consiliare ... e perciò pubblico ufficiale, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, avendo la disponibilità dei fondi derivanti dal contributo di funzionamento per i gruppi, erogati dal Consiglio Regionale e versati sul conto corrente IT..., se ne appropriava utilizzandoli per finalità personali e comunque estranee alla previsione normativa». È la formula che tutti i capi gruppo indagati si sono ritrovati nella mail inviata dalla procura come informazione di «chiusura indagini». Oltre alla proprie contestazioni, i «responsabili» del gruppo concorrono alle accuse rivolte ai singoli consiglieri. Luca Pedrale, capo gruppo del Pdl, si è ritrovato con 22 capi d’imputazione, uno per sé e gli altri condivisi con i colleghi e gli ex berlusconiani, perché ha autorizzato le spese anomale.



    I ristoranti

    Il Pdl ne esce strapazzato dall’inchiesta sui rimborsi regionali. Come politici amano soprattutto i ristoranti. È la prima voce nell’elenco delle contestazioni in serie. Franco Maria Botta ha speso tra giugno 2010 e settembre 2012 (periodo contestato a tutti i consiglieri), 41.472,23 euro. Marco Botta, ha chiesto il rimborso di 36.372,20 euro. È un mago degli scontrini: oltre ai pasti in ristorante, le accuse che lo riguardano comprendono spese «anomale» per cibi da asporto e generi alimentari vari (come salumerie, macellerie, panifici) e consumazioni al bar. Sotto questa voce, Valerio Cattaneo ha «spese» da gourmet per 38.218,34 euro. Alberto Cortopassi, tra tramezzini e piatti della tradizione, lo supera di gran lunga: ha collezionato contestazioni culinarie per 48.131,97 euro. In coda, i virtuosi del piattino, sono Girolamo La Rocca, con 6.809,80 euro; Pietro Francesco Toselli, 9.824,16 euro; Angelo Burzi, 10.161,08 euro, la cui voce racchiude quasi l’intera contestazione mossa a suo carico dai pm.



    Abbigliamento

    L’immagine, si sa, è il primo biglietto da visita per un politico. I look prima di tutto. Anche qui la procura ha contestato una raffica di spese non consone con l’attività politica. Luca Pedrale ha fatto acquisti in negozi di abbigliamento per un importo complessivo di 2.790 euro. Franco Maria Botta ha speso 12.210 euro, parte presso la boutique «Olympic». Acquisti di qualità. Marco Botta ha fatto tappa anche da Hermes per chiedere il rimborso alla Regione Piemonte, 3.515,79 euro. Anche Valerio Cattaneo è stato cliente di «Olympic», aggiungendo nel suo elenco «Louis Vuitton»: per lui la voce abbigliamento ha raggiunto quota 6.154 euro. Rosa Anna Costa, per arricchire il guardaroba da consigliere, ha fatto acquisti per 2.968,70 euro. Angiolino Mastrullo, in questo campo, ha superato la collega, collezionando spese di «charme» per 3.796,82 euro. Roberto Boniperti, esperto di eleganza, si è spinto fino 7.049,68 euro.



    Spese varie

    Sotto questa voce compaiono richieste di rimborso tra le più fantasiose. Durante la prima fase d’indagine, qualche consigliere aveva cercato di dare una spiegazione plausibile alle fatture messe in elenco. Adesso queste spese se le ritrovano nell’atto conclusivo delle indagini, passo che precede la richiesta di rinvio a giudizio. In cima alla classifica, si ritrova Franco Maria Botta, con i suoi 79.051,94 euro di contestazione finale. Per spese varie di gioielleria, traslochi, cd, articoli per la casa, ha speso 2099,99 euro; fiori, per 2.319 euro, accessori e prodotti di valigeria per 2.192 euro; rimborsi di profumi per 2.174,96 euro. A stretto giro lo segue il suo omonimo, Marco Botta: ha speso 4319,40 euro in fiori, parrucchiere, abbonamento doccia solare, articoli per la casa, articoli per fumatori, attrezzatura da golf. La somma comprende anche il pagamento di contravvenzioni al codice della strada. I politici sono sempre di corsa. Non è il solo tra i consiglieri del Pdl o ex, ad accollare le multe alla Regione. Anche Carla Spagnuolo, che ha contestazioni complessive per 66.847,37 euro, ha inserito il rimborso di multe, oltre a bigiotteria e articoli per la casa: 3.757,41 euro. Pietro Francesco Toselli, tra omaggi natalizi di natura alimentare, vino e centro benessere, 2.823,69 euro. Nel suo caso deve rispondere di una contestazione complessiva di 23.073,68 euro.



    Finanziamento illecito

    Alcuni consiglieri sono accusati di aver utilizzato il denaro della Regione per finanziare attività elettorali. Errori, sostengono gli indagati. È il caso di Girolamo La Rocca. Secondo il capo di imputazione che lo riguarda, ha chiesto il rimborso di una fattura di 2.000 euro «emessa dalla società Italgrafica di Novara, a favore del gruppo Pdl, per la fornitura di manifesti e volantini elettorali». Alcuni dal titolo «Difendi il tuo voto, consigliere La Rocca», gli altri «Una fiaccolata per Cota». Stessa accusa è stata mossa nei confronti della Spagnuolo, per una fattura del 30 marzo 2011, importo 1.002 euro, relativa alla campagna elettorale delle comunali di Torino, e di Angelo Burzi, per una fattura del 7 ottobre 2010, importo 3.600 euro, , emessa dalla società «Maverick» di Milano, in occasione delle regionali del 2010.
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    L'orco si vestiva da mister. "Allenava" i ragazzini: al sesso
    Assicuratore al mattino e allenatore di basket al pomeriggio in una squadra di un quartiere di Roma Est. Dal 2007 ad oggi avrebbe abusato sistematicamente di 6 ragazzini di età compresa tra i 12 e i 15 anni, istigandoli addirittura alla prostituzione. Con l'alibi dello sport li coinvolgeva senza costrizione fisica


    La tecnica usata era quella “dell'abusante preferenziale-seduttivo”: diventava amico dei giovanissimi che per vergogna non denunciavano i fatti. A scoprire il dramma sono stati alcuni genitori che hanno trovato tracce di conversazioni equivoche su Facebook. I carabinieri indagano anche sulle sue attività in un campeggio al lago di Bracciano
    Venerdì, 21 settembre 2012 - 09:24:00


    I Carabinieri del Nucleo Investigativo di Roma hanno arrestato A.D., romano di 46 anni, in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal G.I.P. presso il Tribunale di Roma per i reati di violenza sessuale su minori, atti sessuali con minorenni e induzione alla prostituzione minorile, commessi in un arco temporale compreso tra il 2007 ed il 2012.
    Le indagini sviluppate dai militari di via in Selci hanno rivelato che l’uomo, di professione assicuratore, svolgeva anche l’attività di allenatore di una squadra maschile di basket presso un circolo sportivo in un quartiere periferico nella zona Est di Roma, composta da minori dell’età compresa tra i 12 e i 15 anni, sfruttando tale ruolo per circuirne alcuni e indurli al compimento di atti sessuali.
    pallone basket


    La tecnica di approccio utilizzata dall’arrestato era quella tipica del c.d. “abusante preferenziale–seduttivo”, un soggetto, in genere ben integrato nel contesto sociale, capace di sedurre la vittima designata instaurando un rapporto basato su attenzioni e affetto, finalizzato ad abbassare progressivamente le difese del minore, fino a coinvolgerlo in attività sessuali senza costrizione fisica. Di norma, la vittima di tale approccio tende a non denunciare l’abuso, sia per il particolare rapporto instaurato con l’abusante che per vergogna o paura di non essere creduti (trattandosi di abusi non violenti).
    Al fine di circuire i minori, l’indagato era solito instaurare con loro un rapporto confidenziale paritario, ricorrendo anche a Facebook ove le vittime venivano coinvolte progressivamente in discussioni a sfondo sessuale sempre più spinte, culminanti in espliciti tentativi di approccio sessuale, caratterizzati da un equivoco atteggiamento scherzoso e goliardico.
    Le indagini dei Carabinieri del Nucleo Investigativo di via in Selci sono state avviate proprio grazie alla denuncia di alcuni genitori delle vittime i quali, insospettiti dagli atteggiamenti troppo confidenziali di A.D. verso i loro figli, avevano controllato i computer di casa, trovando delle conversazioni di Facebook particolarmente spinte tra i minori e l’indagato.
    Gli approfondimenti investigativi condotti dai carabinieri, coordinati dalla Procura della Repubblica di Roma, hanno consentito di far luce anche su altri abusi, sistematicamente reiterati dall’indagato per diversi anni, nei confronti di alcuni giovani frequentatori di un campeggio nei pressi del lago di Bracciano, dove l’indagato andava a trascorrere le vacanze estive.
    In atto sei i minori, tutti maschi, individuati quali vittime. Le indagini comunque proseguono, atteso che l’indagato aveva creato una vasta rete di contatti telematici con giovani ragazzi ed era particolarmente attento nell’occultare le tracce dei suoi comportamenti.
    L’uomo si trova ora recluso nel carcere di Regina Coeli a disposizione dell’Autorità Giudiziaria.
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    Devono pagare i debiti, la costringe a fare sesso con un altro davanti ai figli
    Lunedì, 17 settembre 2012 - 10:19:00
    Ha obbligato con la violenza la sua compagna ad avere un rapporto sessuale con un altro uomo davanti a lui e ai loro figli. L'obiettivo? Saldare così un debito che non riusciva a pagare in denaro. Il fatto è successo a Roma, ma lui è stato arrestato a Riccione, con l'accusa di violenza sessuale aggravata. E' un cittadino bosniaco - 25enne, pregiudicato - bloccato dai carabinieri della cittadina romagnola dove ha trovato rifugio dopo essersi allontanato dalla Capitale. Sull'uomo pendeva un'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa proprio per il reato di violenza sessuale aggravata.


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    Un panino contro la mafia
    di Francesca Sironi

    Loreno Tetti, venditore di panini di Milano, si è visto bruciare il camion per aver testimoniato contro il racket della 'ndrangheta. E ora gli studenti scendono in piazza per sostenerlo
    (07 settembre 2012)
    Il camion incendiato di Loreno Tetti (foto da stampoantimafioso.it) Il camion incendiato di Loreno Tetti (foto da stampoantimafioso.it)Alla parola omertà corrispondono 8 milioni e mezzo di pagine, secondo Google. Una piaga, che è arrivata da tempo anche nel Nord Italia. Loreno Tetti è un ristoratore ambulante di Milano, che ha deciso di rifiutare l'omertà e per questo l'ha pagata cara: il suo camioncino con cui vendeva panini è stato bruciato, la notte del 18 luglio del 2012. Da pochi giorni, con l'avvio dell'Università, Tetti ha scelto di ricominciare, e ha riaperto il suo furgoncino rosso in via Celoria. Per dargli sostegno, e lanciare un nuovo segnale contro tutte le mafie, gli studenti di Fisica e varie associazioni di Milano hanno deciso di indire un presidio al fianco del suo camioncino lunedì alle 13.30.

    Cos'è successo. Loreno Tetti è stato uno dei pochi testimoni al processo contro il clan Flachi che vedeva coinvolti 13 ambulanti, intercettati mentre parlavano del pizzo che erano costretti a pagare. L'operazione della polizia, chiamata Redux-Caposaldo, ha portato anche il Comune a farsi parte civile contro il clan, che gestiva da anni il racket dei venditori di panini. Ma al processo è regnato il silenzio. Undici venditori hanno scelto di non parlare, e dei due che hanno avuto il coraggio di denunciare la situazione, uno si è trasferito in Francia. L'unico a rimanere a Milano, la sua città, è stato Loreno Tetti.

    "Per la sua denuncia - racconta Dario Palazzoli di Stampoantimafioso - Loreno è stato punito con l'incendio che ha distrutto il suo lavoro. Non è stato il solo incendio minatorio dell'estate: la penetrazione dell'ndrangheta a Milano è aumentata".

    La manifestazione. Dopo un'estate di silenzi, però, con settembre anche gli studenti hanno scelto di scendere in campo, con il presidio di lunedì: "La mobilitazione degli universitari è in qualche modo una novità - racconta Palazzoli - di solito in queste occasioni si espongono solo le associazioni che si occupano di antimafia, come Libera, o noi stessi. Ma in questo caso è stata una scelta spontanea dei collettivi di Fisica e delle altre facoltà di via Celoria". L'incendio, in qualche modo, li ha toccati da vicino, come una minaccia che non poteva rimanere inosservata.

    Lunedì gli studenti di Fisica e i membri di varie associazioni antimafia hanno deciso così di andare da Loreno per pranzo, tutti insieme, con striscioni e probabilmente anche un microfono da cui parlare alla piazza, sempre gremita a quell'ora. "Anche il Comune ha deciso di fare qualcosa, seppur di piccolo, - spiega Domenico dalla redazione di stampomafioso.it - assegnando a Loreno una pattuglia di "scorta" per lo meno nelle ore di lavoro. Non è molto, ma è un chiaro segnale da parte dell'amministrazione contro le mafie".

    L'appuntamento, quindi, è lunedì alle 13:30 in via Celoria, per un panino alla porchetta o un semplice prosciutto e formaggio, purché sia contro la paura e tutte le mafie.
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    Torre Annunziata. Se l'antica Villa di Poppea soffoca tra cemento e degrado
    Mosaici in rovina e gli «Ori di Oplontis» chiusi in cassaforte



    «Dormi, o Poppea / terrena dea», canta Amore ne «L'incoronazione di Poppea» di Claudio Monteverdi. È meglio davvero che la bella e ambiziosa moglie di Nerone riposi in pace. Tornasse in vita, la sua vendetta su chi ha ridotto così la sua villa a Oplontis, nello sfacelo economico, urbanistico e morale di Torre Annunziata, sarebbe terribile.

    Riuscite a immaginare cosa farebbero gli americani o i francesi se avessero la fortuna di avere loro questo tesoro inestimabile che è la «Villa di Poppea»? Vedreste un'area di rispetto tutto intorno, parcheggi, visitor center, una struttura multimediale come «anticamera» per introdurre gli ospiti a capire quanto sia importante ciò che stanno per vedere a partire dalla stupefacente parete coi due pavoni (pavoni che avrebbero fatto appunto attribuire la villa all'imperatrice) dove si vede una prospettiva studiata sui libri di scuola di tutto il mondo. E poi ristoranti, caffè, bookshop e un museo coi reperti più belli e su tutti i meravigliosi «Ori di Oplontis» trovati nel 1984 nella villa di Lucius Crassius, che sta a poche decine di metri, spersa e umiliata come la residenza più famosa dentro una casbah sgangherata di orrende palazzine tirate su per mano di geometri e architetti dementi dal dio stesso della bruttezza.

    Da noi: zero meno zero. Non c'è una zona di rispetto, non c'è un cartello stradale che aiuti a non perdersi nel casino di una viabilità delirante, non c'è un visitor center, non c'è un parcheggio, non c'è un bookshop e manco un baracchino, una gelateria, un bar... Niente di niente.

    Uno spreco pazzesco. Che ti fa venire in mente ciò che scrisse nel 1775 sul patrimonio pompeiano, in «Viaggio in Italia», Alphonse de Sade: «Ma in quali mani si trova, gran Dio! Perché mai il Cielo invia tali ricchezze a gente così poco in grado di apprezzarle?».

    Ebbero un successo immenso, quei 65 elegantissimi gioielli trovati addosso ai poveri resti di una ventina di persone che si erano rifugiate in una stanza della villa mentre la lava del Vesuvio inghiottiva ogni cosa, quando furono esposti la prima volta a Castel Sant'Angelo. «La tragedia», disse il sovrintendente Baldassarre Conticello, «è che poi torneranno nel caveau di una banca perché a Torre Annunziata non c'è un museo».
    Era il lontano 1987. Un quarto di secolo dopo, quel museo non solo non è ancora stato fatto ma manco progettato. E i celeberrimi «Ori di Oplontis», alcuni dei quali sono stati prestati per rarissime esposizioni che hanno fatto luccicare gli occhi anche agli australiani, sono chiusi in una cassetta di sicurezza. Vietati alla vista dei visitatori insieme con tutti gli altri reperti più preziosi che sono ammucchiati in un deposito (da cui peraltro sono appena spariti due pezzi) tra gli indecorosi casotti di cemento accanto alla cosiddetta «Villa di Poppea». Ecco il direttore, Lorenzo Fergola: «Possiamo vedere queste meraviglie in magazzino?». «È tutto chiuso». «I custodi non hanno le chiavi?». «No». «Chi le ha?». «Io». «E allora?». «Le ho dimenticate a casa».

    E tutti a fare la lagna: «Potessemo campa' solo 'e turismo!». E tutti a ricordare i tempi belli quando la città si chiamava Gioacchinopoli in onore di Gioacchino Murat: «Quant'era bella! 'O sole! 'O mare!». E tutti a citare quanto annotò nel diario Wolfgang Goethe nel 1787: «Pranzammo a Torre Annunziata con la tavola disposta proprio in riva al mare. Tutti coloro erano felici d'abitare in quei luoghi, alcuni affermavano che senza la vista del mare sarebbe impossibile vivere. A me basta che quell'immagine rimanga nel mio spirito».

    Adesso, qui, sono «felici» di vivere solo i camorristi che arricchiscono, spacciano e ammazzano la gente intorno ai clan degli Aquino-Annunziata, dei Gallo, dei Vangone, dei Gionta. Così potenti e volgari che non solo avevano allestito un quadrilatero con fortificazioni elettroniche (quindici microcamere, tre centraline invisibili a occhio nudo, più alimentatori per ovviare all'eventuale taglio della luce) ma sono arrivati, come scrisse sul Corriere Fulvio Bufi, a «sostituire la pavimentazione stradale con marmi e piastrelle del genere che abitualmente viene utilizzato all'interno delle case».

    Sono così forti i camorristi, in questa città che ha visto chiudere 93 dei 94 pastifici e le fabbriche siderurgiche e lo «spolettificio» militare che ormai, dopo avere ingoiato parte della vastissima Villa di Poppea, è ridotto a uno stipendificio per meno di duecento dipendenti assistiti in un'interminabile agonia, da permettersi tutto. Anni fa, per la «strage di Sant'Alessandro», quattordici sicari arrivarono in pullman (in pullman!) davanti al Circolo dei Pescatori per annientare con mitra e fucili a pompa otto uomini legati ai Gionta. E non passa mese senza la scoperta di nuovi legami tra i clan locali, la 'ndrangheta della Locride e una certa imprenditoria marcia del Nord.

    «Fortapasc», chiamava Torre Annunziata il povero Giancarlo Siani, il giovane cronista del Mattino che qui lavorava e venne assassinato. E se c'è un luogo simbolo in cui lo Stato dovrebbe a tutti i costi affermare la sua sovranità, è questo. Anche per proteggere quegli abitanti presi in ostaggio che cercano di ribellarsi alla paura, come hanno fatto i ragazzi dell'Istituto d'Arte «de Chirico» che scagliarono contro la camorra, grazie a grandi pannelli, raffiche di ironie, prese in giro, barzellette che ridevano dei boss più feroci.

    Macché. Anche se va plaudita una crescente offensiva delle forze dell'ordine, il commissariato di polizia a dispetto di anni di denunce è ancora inchiodato in una sede infossata tra i palazzi di corso Umberto e per uscire in strada, magari per accorrere in aiuto di qualche cittadino in pericolo, le volanti del 113 devono passare attraverso l'androne di un altro palazzo: basta un'auto parcheggiata male e addio. E la situazione del Tribunale, che ammucchia i fascicoli di mezzo milione di abitanti dei dintorni, è più o meno quella di quando il procuratore Diego Marmo denunciò l'invasione di ratti e una tale mancanza di spazio che «per 59 persone non solo non sono disponibili né sedie né scrivanie, ma non vi è posto nemmeno per ospitarle in posizione verticale». Cioè in piedi.

    Dentro questo sfascio, la villa di Lucius Crassius, come denuncia una lettera di pochi giorni fa dell'assessore Aldo Tolino al ministro dei Beni culturali, è catastrofica: «I locali a piano terra ove furono ritrovati gli "Ori di Oplontis", versano in condizione di grave degrado per infiltrazioni di acqua, che creano pericolo di crollo e dove i resti umani dei nostri antenati giacciono ammassati in cassette di plastica e abbandonati all'oblio più assoluto, mentre la quasi totalità degli affreschi di tutto il complesso, vero vanto dell'arte pittorica romana, versa in condizioni di grave deterioramento...».

    Quanto alla Villa di Poppea, suscita incanto, rabbia e malinconia. Pavimenti luridi di polvere, mosaici che qua e là si sgretolano, affreschi che si gonfiano, tubi innocenti che reggono ovunque putrelle d'incerta stabilità, nastri di plastica biancorossa di traverso, lampade orrende oscenamente arrugginite, erbacce che crescono divorando il pavimento della piscina... E sopra le teste incombono ovunque, minacciosi, i pesantissimi soffitti sorretti da ciclopiche travi di cemento armato. Li piazzarono lì pensando così di proteggere le stanze affrescate, di una bellezza ineguagliabile. La scienza ha dimostrato, purtroppo, il contrario: in caso di terremoto l'avere ammassato tonnellate di cemento armato sui mattoni e le pietre antiche può moltiplicare i danni rendendoli devastanti.
    Un Paese serio si precipiterebbe a mettere in salvo tanta bellezza. E tenterebbe di rimediare al disastro fatto anni fa consentendo a queste palazzine bruttissime di assediare e quasi strangolare la residenza imperiale. L'Italia no. E anche se qualche boccone dei nuovi finanziamenti per Pompei pioverà anche qui, manca del tutto, spiega Antonio Irlando, presidente dell'Osservatorio Archeologico, un progetto vero, di respiro, ambizioso.

    Dorme, Poppea. E certo il suo sonno non sarà disturbato, in queste condizioni, da troppi turisti. Sapete quanti custodi e addetti vari lavorano alla villa? Trentotto.

    Sapete quanti visitatori paganti hanno comprato il biglietto nel 2011?
    Tenetevi forte: 10.125.
    Ventisette al giorno.



    Gian Antonio Stella
    19 aprile 2012
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    Sequestrata e violentata per 40 minuti nei campi. Stuprata una svizzera da due rumeni
    Mercoledì, 8 agosto 2012 - 13:18:00

    Con la promessa di una serata spensierata una 21enne ticinese ieri sera attorno alle 21 e' stata abbordata da due rumeni in piazzale Cadorna e violentata nelle campagne della Brianza, a Carugate. Sono stati fermati due uomini, entrambi muratori rumeni regolari incensurati e con famiglia e figli. Il 35enne residente in provincia di Treviso ma ha domicilio in una casa del Comune di Carugate dove e' stato raggiunto dai carabinieri di Monza. Il 25enne abita a Gessate, e' padre di famiglia ed e' stato raggiunto dai carabinieri mentre aspettava l'ultima metropolitana della sera, attorno alle 23.30, alla fermata di Bussero.

    La vittima della violenza, dopo una visita alla clinica Mangiagalli, e' tuttora ricoverata presso l'ospedale Niguarda per le numerose ferite ed echimosi che ha riportato su tutto il corpo, soprattutto sugli arti inferiori. La 21enne e' gia' stata brevemente sentita dai carabinieri e al momento sono in corso delle verifiche con le autorita' svizzere: potrebbe essersi allontanata da casa da qualche giorno soggiornando a Milano, presumibilmente anche per strada. E' in corso di valutazione anche la presenza di un lieve deficit mentale, non evidente ma plausibile. A quanto riferito dai militari intervenuti, la ragazza sarebbe salita a bordo dell'auto, una Polo riconoscibile da un passeggino e tanti adesivi, in piazzale Cadorna e poi violentata e picchiata per 40 minuti nei campi, all'esterno della vettura, in modo particolarmente brutale e violento. La vittima e' poi stata abbandonata sul ciglio della strada, seminuda, a trovarla e chiamare soccorso e' stata una automobilista di passaggio, residente in zona, che l'ha trovata cosciente ma in stato di shock, sdraiata e priva di biancheria intima.
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    I due uomini si sono allontanati dividendosi. Il piu' grande in auto, il piu' giovane a piedi, chiedendo poi uno strappo ad una auto fino alla fermata di metropolitana piu' vicina: Bussero.

    A portare alla cattura dei due rumeni e' stato proprio l'automobilista che, dopo aver lasciato l'uomo, tornando a casa ha visto i soccorsi e i carabinieri vicino a casa e si e' fermato incuriosito. Venuto a conoscenza dell'accaduto ha subito riferito di aver accompagnato l'uomo a Bussero e i carabinieri sono andati sul posto fermandolo mentre attendeva l'ultimo metro sul marciapiede.

    Il secondo uomo e' stato invece trovato nella propria casa, vicino alla macchina riconosciuta perche' prontamente descritta dalla vittima. Preziose per la cattura sono state tutte le indicazioni fornite ai militari dalla ragazza che ricordava con precisione i due uomini, uno dei due privo dell'indice della mano destra, particolare che ha aiutato il riconoscimento. Si dovra' attendere qualche giorno per sottoporre le foto dei due uomini alla giovane per la conferma, intanto nel pomeriggio potrebbero arrivare informazioni dalla Svizzera sulla sua situazione: la sua descrizione coinciderebbe con una denuncia di scomparsa risalente a qualche giorno fa. A far pensare che si trovasse a Milano da pochi giorni, anche la borsa che aveva con se', con pochi oggetti personali, ritrovata a 300 metri dal luogo della violenza. I due uomini gliel'avevano sottratta per evitare che chiamasse i soccorsi.

    MILANO - Si sono approfittati di lei perché hanno capito che era sola, una giovane «sbandata», senza difese: l'hanno avvicinata con parole gentili davanti alla stazione Cadorna e con una scusa scherzosa l'hanno fatta salire in auto. Poi l'hanno portata in aperta campagna e lì, visto che lei resisteva, l'hanno massacrata di botte e stuprata, abbandonandola poi sul ciglio della strada. Al termine di indagini serrate, mercoledì mattina i carabinieri di Monza hanno arrestato due uomini di origine romena, con l'accusa di violenza sessuale aggravata.

    SEQUESTRATA IN AUTO - La vittima è una 21enne di origini italo svizzere, senza fissa dimora e forse con qualche deficit cognitivo; potrebbe essere fuggita di casa. La trappola è scattata martedì sera, attorno alle 22.30. I due romeni, operai edili incensurati di 24 e 36 anni, entrambi incensurati, hanno abbordato la ragazza e l'hanno convinta a salire sulla loro auto. Quindi si sono diretti verso Carugate, si sono fermati nei pressi di una cascina dove l'hanno violentata, «brutalmente», spiegano i militari, massacrandola di botte. I due le hanno preso il cellulare e la borsa (che hanno lasciato a poca distanza) e l'hanno abbandonata per strada, fuggendo uno a piedi e l'altro in auto.

    RICOVERATA IN OSPEDALE - Dopo mezzanotte la povera ragazza, che giaceva sul ciglio della strada, è stata notata da una passante che ha chiamato il 118 e il 112. La ragazza è stata portata alla clinica Mangiagalli, specializzata in questo genere di reati, per le cure e le analisi del caso. I medici hanno notato che era in condizioni drammatiche: presentava ecchimosi su tutto il corpo e contusioni alle gambe e era in stato di choc. E' stata quindi trasferita all'ospedale Niguarda, dove è stata ricoverata in osservazione.

    RAGAZZA SCOMPARSA - Secondo quanto riferito dai carabinieri della Compagnia di Vimercate, c'è una segnalazione di scomparsa relativa a una giovane ticinese, di età compatibile con quella della ragazza stuprata, che risalirebbe a qualche giorno fa. Gli effetti personali della ragazza, che a Milano non aveva un domicilio e forse dormiva dove le capitava, sarebbero peraltro troppo pochi per far pensare a una prolungata permanenza in Italia. Pare che nei giorni scorsi la 21enne abbia passato le notti a Milano, alla stazione Cadorna. Sono in corso ulteriori accertamenti con le autorità elvetiche per stabilire da quanto tempo avesse lasciato la famiglia.

    LA CACCIA ALL'UOMO - Uno dei due romeni, quello rimasto a piedi, ha fermato un automobilista chiedendogli un passaggio per la stazione della metropolitana di Bussero. Dopo averlo accompagnato, l'uomo ha visto l'ambulanza nelle vicinanze di casa sua e ha chiesto agli operatori cosa fosse successo. Ha quindi immediatamente raccontato ai carabinieri della stazione di Vimercate, presenti sul posto, di aver dato un passaggio a un giovane di nazionalità rumena che vagava solo per strada. Grazie all'indicazione, attorno alle 4.30 i carabinieri hanno fermato il giovane nella vicina stazione metropolitana di Bussero. In seguito, grazie al primo racconto della ragazza, si è accertata la sua identità: gli manca un dito indice, cosa notata dalla vittima.

    UN FIGLIO PICCOLO - Il secondo stupratore è stato individuato nel corso della nottata grazie alla descrizione dettagliatissima fornita dalla vittima, che ricordava ogni dettaglio in modo impressionante. L'auto, una Volkswagen Polo piena di adesivi e con un passeggino per bimbi sul sedile posteriore, è stata localizzata nel Comune di Carugate. L'uomo è stato quindi individuato e arrestato dai carabinieri di Monza intorno alle 5 del mattino a casa sua, dove vive con moglie e figlio piccolo. Ora i due stupratori si trovano entrambi nel carcere di Monza. Entrambi sono stati arrestati con l'accusa di violenza sessuale aggravata e rapina.

    Redazione Milano online
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    Invalidi e finti poveri Scoperti in oltre tremila
    Costati alle casse dello stato oltre 60 milioni. In 3.400 scoperti e denunciati nel 2012 da GdF
    07 agosto, 10:53

    Evasione e truffe, l'Italia dei furbetti

    Invalidi e finti poveri Scoperti in oltre tremila

    ROMA - Dall'inizio dell'anno la Guardia di Finanza ha scoperto e denunciato oltre 3.400 persone che percepivano indebitamente pensioni o assegni di sostegno. I 1.844 falsi poveri e i 1.565 falsi invalidi sono costati alle casse dello Stato oltre 60 milioni.

    418 italiani residenti all'estero sono stati denunciati dalla Gdf per aver percepito indebitamente l'assegno sociale di povertà. Gli oltre 400 truffatori - che si vanno ad aggiungere ai 1.844 falsi poveri scoperti in Italia dall'inizio dell'anno - hanno incassato oltre 9 milioni, per i quali sono già state attivate le procedure di recupero. L'attività condotta dal Nucleo speciale spesa pubblica e repressioni frodi comunitarie della Gdf di Roma consentirà all'Inps di risparmiare ogni anno altri 2,5 milioni.

    La Guardia di Finanza, in collaborazione con l'Inps, ha esaminato oltre 170mila prestazioni erogate dall'istituto, individuando centinaia di posizioni che necessitano di approfondimenti. Tra questi diversi residenti all'estero che continuano a percepire l'assegno sociale. Parallelamente sono andati avanti i controlli sul territorio che hanno consentito di scoprire decine di 'furbetti dell'estaté: falsi poveri e falsi ciechi che per anni hanno truffato lo Stato.
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    Il tumore e 6 mesi per una tac. Il calvario di un giovane milanese
    Giovedì, 5 luglio 2012 - 11:47:00




    Giovanni Andreoni ha 29 anni e a febbraio è iniziato il suo lungo calvario tra gli ospedale milanesi. Prima la visita all'ospedale di Melzo, poi l'operazione a Vimercate per l'asportazione di un testicolo: tumore da seminoma classico. In mezzo la lunga ed estenuante attesa per la diagnosi. Ha raccontato la sua storia durante la trasmissione Forte e Chiaro condotta da Roberto Poletti su Antenna 3.

    "Dopo l'intervento ho aspettato per giorni con molta ansia il risultato dell'esame istologico. E ho scoperto che da giorni era in laboratorio a prendere polvere. Ho dovuto chiamare io per avvisare che i risultati erano pronti. Se fosse stato per loro starei ancora aspettando che mi dicessero che ho un tumore", racconta ad Affaritaliani.it.

    Per non parlare del decorso post-operatorio. "Dopo due giorni non riuscivo a muovermi dal letto e il dottore voleva dimettermi. Mi hanno detto: 'Ora la facciamo mangiare in piedi e vedrà che si sentirà meglio'. Così per ripicca mi sono vestito ed ero pronto per firmare l'uscita. Mi ha fermato un paziente". In questa storia non mancano neanche le dimenticanze: "Dopo la diagnosi l'ospedale di Vimercate mi ha mandato a fare una visita al Centro Tumori, dopo ore di attesa finalmente entro e mi chiedono la tac. Peccato che a Vimercate non ne ho mai fatta una".

    Ma non finisce qui. "In questi giorni ho avvertito un dolore e ho chiesto al mio medico di famiglia di farmi fare un'ecografia. Ho chiamato il Centro Prenotazione Unico e mi è stata fissata per dicembre, tre mesi dopo la tac di controllo. L'ho fatto notare alla reception e la riposta è stata: 'Aspetti'. Ma non posso. A Vaprio D'Adda ho trovato un centro privato e la farò lunedì prossimo". Sconsolato racconta ad Affari: "Non è normale che una persona debba aspettare così tanto quando si tratta patologie che andrebbero prese in tempo. Mi metto anche nei panni di un anziano che non ha la forza e la possibilità di cercare alternative".
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    Milano violenta, donne aggredite
    E una rissa a colpi di machete
    08/07/2012
    Notte di terrore in una città semi deserta con due aggressioni a due giovani donne a scopo di violenza sessuale e una rissa tra extracomunitari a colpi di machete. La lite è avvenuta tra un gruppo di extracomunitari. Delle quattro persone ferite a colpi di machete, due sono state trasportate in codice rosso all'ospedale Niguarda e al Policlinico, due in codice giallo al Sacco e al Fatebenefratelli

    Due giovani donne straniere sono state invece aggredite in strada. La 35enne ecuadoriana è stata palpeggiata e costretta a salire su una macchina ma è riuscita a scappare. Sono stati denunciati, invece, gli aggressori della giovane greca, entrambi 21enni. La donna sarebbe stata costretta a un rapporto orale. E' scontro De Corato (Pdl)-Zajczyk (delegata del Sindaco alle Pari opportunità)
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    Ma allora si premiano i malfattori»
    ARSIERO. L'amarezza di Ermes Mattielli, l'imprenditore condannato a risarcire 120 mila euro a due nomadi, che ha ferito a colpi di pistola mentre stavano rubando. «Ho sparato perché mi avevano minacciato. Non ho mai gridato insulti razziali. Ora ho mollato tutto e non ho soldi per pagare»
    06/07/2012

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    Ermes Mattielli, 59 anni, condannato a risarcire i ladri. S.D.C.

    «La mia condanna è un invito ai deliquenti ad andare a rubare». Ermes Mattielli non ha peli sulla lingua il giorno dopo la sentenza che gli intima di pagare 120 mila euro di provvisionale ai due nomadi, Cris Caris, 27 anni, di Piovene Rocchette e Blu Helt, 32 anni, di Malo, che la notte del 13 giugno 2006 penetrarono nel suo deposito di robivecchi di Scalini, frazione arsierese, per rubare. Vennero investiti da una gragnuola di colpi sparati dalla pistola calibro 21 che Mattielli deteneva regolarmente. I due erano rimasti feriti con «colpi di pistola idonei ad uccidere», come ha spiegato nell'aula del tribunale a Schio il medico legale Giampiero Antonelli. L'avvocato Maurizio Zuccollo ha sostenuto invano la tesi della legittima difesa. Il giudice Cristina Bertotti ha condannato Mattielli a 1 anno di reclusione per lesioni e al pesante risarcimento. Da due anni l'imprenditore ha mollato l'attività ed ora, alla soglia dei 60 anni, aspetta la pensione. «Mi dovrebbe arrivare ad agosto ». Lei ha seguito le fasi processuali. Come ricostruisce l'accaduto? Sostengono che io abbia sparato mentre i due erano a terra. Non è vero. Quando li ho visti accasciati ho immediatamente chiamato i carabinieri e lanciato l'allarme per i soccorsi, senza avvicinarmi. L'hanno accusata di aver loro gridato insulti razziali. È vero? Non li avevo nemmeno visti prima di telefonare ai carabinieri. Era notte, come facevo a vedere chi erano? Non ho mai detto a uno di loro “sporco zingaro”. Questa se la sono inventata. Come mai si precipitò al deposito? Abito poco lontano e alle 22,30, per due volte, era partito l'allarme. Ho preso la pistola e mi sono precipitato là. Avevo già subito numerosi furti ed ero esasperato. L'accusano di avere sparato ben 14 colpi verso i due giovani. Conferma? Io ricordo di avere sparato due colpi verso il punto luce. A quel punto loro sono usciti da dove si erano nascosti, mi hanno urlato contro alcune minacce e in quel momento, preso dal panico, ho ripreso a sparare. Se dicono che sono stati 14, sarà vero, ma non ricordo bene quei momenti, non ero in grado di ragionare. Lo rifarebbe? Difficile dirlo. Di sicuro ne avevo abbastanza dei continui furti di materiale, tanto che dopo quell'episodio ho fatto sparire rame e metallo in genere, oggetti del desiderio dei ladri e, per i quattro anni successivi, non ci sono più state visite indesiderate. Perché ha mollato tutto? È una conseguenza delle sue vicissitudini legali? Mi sento come uno derubato di notte dai malviventi e di giorno dallo Stato. A farmi smettere sono state due sanzioni, l'ultima di 4 mila e 500 euro, dovute alla detenzione di materiale inquinante. Lavorare per pagare multe non mi andava proprio. Però adesso si troverà a pagare un conto ben più salato. Come farà? Soldi non ne ho. Se la condanna sarà definitiva, si prendano pure il deposito. Il fatto è che 150 mila euro, perché alla fine si arriverà a tanto fra risarcimento e spese, uno riesce a metterli insieme in una vita e non per soddisfare capricci. Ricorrerà in appello? Ci stiamo pensando, io e il mio avvocato. In questo momento sono talmente amareggiato che mi verrebbe voglia di lasciar perdere. Io ho sempre lavorato, e sodo, mentre i due che dovrei risarcire non sanno nemmeno cosa voglia dire un lavoro. Mi dispiace di aver ferito quei due, non era certo mia intenzione far loro del male, ma ero spaventato. Erano a casa mia. Però condannandomi, indirettamente, è come se si lanciasse un segnale pericoloso.

    Mauro Sartori

    © RIPRODUZIONE RISERVATA
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    Lo scandalo Siae
    di Guido Scorza | 27 febbraio 2012
    Commenti (104)

    Più informazioni su: commissione cultura, Consiglio di stato, fondo di solidarietà, Gaetano Blandini, sentenza, siae, stipendi.

    Case vendute ed affittate a condizioni ridicole ad amici ed amici degli amici. Stipendi da capogiro. Bilanci truccati. Privilegi ed una convinzione di onnipotenza tanto radicata da consentire ai compagni di merenda di ignorare per quasi un ventennio una sentenza del Consiglio di Stato e di continuare ad agire fuori legge mentre i controllori – tanti – preferiscono fingere di non vedere per convenienza o quieto vivere. Patti di ferro ed inossidabili sodalizi con sindacalisti che divengono poi manager o consulenti strapagati.

    Ci sono davvero tutti gli ingredienti dell’ennesimo scandalo italiano nella vicenda che, nel silenzio della più parte dei media, minaccia di travolgere e trascinare nella polvere Siae, la gloriosa Società italiana autori ed editori costituita nel lontano 1882. C’è, evidentemente, un abisso etico, morale e culturale tra gli uomini che sedevano nel primo Consiglio Direttivo dell’Ente come Giuseppe Verdi e Giosué Carducci ed i tanti che hanno occupato le medesime poltrone negli ultimi anni.

    Sono sconcertanti e lasciano senza parole le dichiarazioni rese dal Direttore Generale, Gaetano Blandini e dai due sub-commissari straordinari Mario Stella Richter e Domenico Luca Scordino dinanzi alla Commissione Cultura della Camera dei deputati nell’ambito dell’indagine conoscitiva che quest’ultima ha avviato ed alla quale sembra ormai inevitabile – data la gravità degli elementi che stanno emergendo – si affianchi, presto, l’attività di una commissione d’inchiesta.

    La nave minaccia di affondare e la parola d’ordine per chiunque sia coinvolto nella gestione della Società è cercare di salvare sé stesso anche a costo di inguaiare ex amici e compagni di merende.

    “Di fatto, per vent’anni la Siae non ha dato esecuzione ad una Sentenza del Consiglio di Stato”. A dirlo è Gaetano Blandini, Direttore Generale della Siae, a proposito del c.d. Fondo di solidarietà. Una brutta storia che val la pena di ricordare.

    Ecco come la racconta proprio il Direttore Generale della Siae in un’intervista a Rockol.it: “Il 7 giugno del 1949 lo statuto Siae istituisce una ‘Cassa di previdenza dei soci Siae’ che resta in vigore fino al 1978, quando – nel clima di una normativa che sul fronte della previdenza si fa più stringente – i soci, con fantasia, ne modificano il nome ma non la sostanza: nasce il Fondo di solidarietà tra i soci…. Va ricordato che all’epoca sussisteva ancora la distinzione tra soci ordinari e iscritti: i primi governavano la società, i secondi erano come figli di un dio minore esclusi dall’elettorato attivo e passivo. Poi, nel 1992, arriva l’equivalente di ciò che la sentenza Bosman è stata per il mondo del calcio. Un iscritto Siae, l’avvocato Renato Recca, fa ricorso al Consiglio di Stato e lo vince. La massima autorità di giustizia amministrativa del Paese ritiene illegittime le norme dello statuto che discriminano tra soci e iscritti, consentendo solo ai primi di beneficiare del sistema previdenziale. Eppure non succede nulla, la Siae si disinteressa di questa decisione e Recca è costretto a fare un altro ricorso al CdS ottenendo, tre anni dopo, un decreto di ottemperanza. Che fa a quel punto la società degli autori? Fa entrare Recca nel suo ‘maso chiuso’, quella che voi giornalisti chiamate la casta, ma continua a tenere sbarrato il recinto a tutti gli altri finché non si giunga allo studio e all’approvazione di un nuovo regolamento. Di fatto, per vent’anni, la Siae disapplica una sentenza del Consiglio di Stato.”.

    Lucida follia la definirebbe qualcuno: un ente pubblico economico sotto la diretta vigilanza del Ministero dei beni e delle attività culturali e del Presidente del Consiglio dei Ministri che per decenni svolge un’attività previdenziale vietata per di più discriminando tra i propri iscritti e non si ferma neppure quando ad ordinarglielo sono i Giudici del Consiglio di Stato.

    Si arriva così ai giorni nostri quando la gestione commissariale ed il direttore generale decidono, dall’oggi al domani, di sospendere ogni prestazione previdenziale in favore degli autori e di congelare gli oltre 80 milioni di euro del c.d. fondo di solidarietà. Le ragioni – quelle vere e quelle assunte ad alibi – le spiega lo stesso Blandini con un candore che, tuttavia, non vale a rendere la vicenda meno grave ed inquietante.

    “Una legge, dal 2005, punisce l’esercizio abusivo di prestazioni previdenziali con la reclusione da 6 mesi a 3 anni e una multa da 5.200 a 25 mila euro. Se non ottemperassi a questa legge –dice Blandini – in altre parole, andrei in galera”.
    E’ un’autodenuncia? [n.d.r. Blandini siede ai vertici della Siae sin dal 2009] Una denuncia nei confronti di quanti, nell’ultimo ventennio, hanno guidato la Società lasciando che agisse quale ente previdenziale? “Se non ottemperassi a quella legge…andrei in galera” dice il Direttore Generale. Ma allora chi non vi ha ottemperato sin qui, oggi, dovrebbe andare in galera?

    Ma non basta.

    Blandini, nel tentativo di difendersi dinanzi alle giuste – almeno sotto un profilo sostanziale – recriminazioni di quanti si sono visti privare, dalla sera alla mattina, di un importante contributo previdenziale, dice che “un comitato di studio composto dagli stessi autori ha lavorato per cinque anni alla ricerca di una soluzione alternativa senza approdare a nulla, e che è costato alla Siae oltre 600 mila euro”.

    Siae ha, dunque, speso 600 mila euro dragati dall’industria culturale – ovvero quella stessa che lamenta continuamente perdite da capogiro per colpa di Internet e del digitale – nel tentativo di individuare una soluzione che le consentisse di eludere il divieto di esercizio di attività previdenziali.
    Da non crederci.

    E’ stato, dunque, un pentimento operoso quello che ha indotto Gaetano Blandini ed i commissari straordinari a porre fine, dopo un ventennio, ad una situazione di palese illegittimità?
    Neppure a pensarci.

    La vera ragione per la quale, oggi, le attività previdenziali del fondo di solidarietà sono state sospese è che nessuno aveva voglia – e soldi – di svolgerle in favore di tutti gli iscritti così come richiesto dalla Sentenza del Consiglio di Stato.

    Anche questo lo spiega candidamente Blandini: “se si fosse aperto il cancello a quegli 8 mila che forse [n.d.r. in realtà il consiglio di Stato, 20 anni fa, non ha usato né “forse”, né “ma” ed ha semplicemente detto che tutti gli iscritti Siae devono essere trattati allo stesso modo] avrebbero avuto diritto di entrare [n.d.r. nel novero dei beneficiari dei contributi previdenziali erogati dal Fondo di solidarietà], la Siae oggi sarebbe già come la Grecia, sull’orlo dell’insolvenza, e nell’arco di tre anni andrebbe in dissesto finanziario”.

    Viene il dubbio che non si sia capito bene.

    Il direttore generale sta dicendo che, dopo venti anni, si è sospesa un’attività sin qui svolta illegalmente perché il tesoretto accumulato di oltre 80 milioni di euro non sarebbe stato sufficiente a proseguirla in maniera non discriminatoria?

    Ma andiamo avanti perché l’ascolto della registrazione dell’audizione dinanzi alla Commissione Cultura rivela particolari ancor più inquietanti. Lo stipendio del Direttore generale Gaetano Blandini, ad esempio.

    470 mila di euro all’anno più 100 mila euro all’anno a titolo di premio di risultato [n.d.r. regolarmente percepito nel 2010, nonostante il bilancio della Siae sia stato fortemente deficitario] cui vanno ad aggiungersi 70 mila euro – sempre all’anno – quale responsabile della sicurezza. Il tutto per quattro anni con la garanzia, qualora alla scadenza del contratto lo stesso non fosse rinnovato, di un indennizzo da 2 milioni di euro.
    Non c’è male per un ente pubblico economico in evidente stato di crisi e che – lo dice lo stesso Blandini – farebbe la fine della Grecia se solo rispettasse la legge e le Sentenze.

    L’Onorevole Barbieri glielo chiede e lui non smentisce.

    Non sono meno gravi le rivelazioni relative alle vicende del fondo pensioni Siae [n.d.r. quello per i dipendenti].

    Il sub-commissario Scordino, al proposito, è costretto ad ammettere che il Fondo ed il suo patrimonio immobiliare hanno formato oggetto di mala-gestio da parte dei suoi precedenti amministratori, che il bilancio, almeno fino al 2009, non ha mai rappresentato in maniera puntuale e veritiera la situazione e che case ed appartamenti sono stati svenduti ed affittati in un contesto clientelare ed al di fuori di qualsivoglia regola. Ma egualmente sconvolgente è un’altra affermazione di Scordino secondo il quale i Commissari non avrebbero ancora ricevuto dalla Presidenza del Consiglio il decreto contenente l’importo che verrà loro riconosciuto.

    Difficile, tuttavia, pensare che in un anno nessuno abbia mai loro chiarito quanto avrebbero guadagnato.

    Fermiamoci qui ma la registrazione delle oltre due ore di audizione è un documento che offre uno spaccato della Siae senza precedenti e conferma i peggiori sospetti sull’impossibilità di continuare a lasciare affidati – per di più in regime di monopolio – gli interessi del mondo e dell’industria culturali ad un ente i cui amministratori, negli ultimi decenni, sono stati autori di condotte eticamente riprovevoli e delle quali saranno, ora, i Giudici a valutare la liceità giuridica.
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    Violenta il medico in ospedale: preso un etiope con precedenti
    I fatti si sono svolti negli spogliatoi dell'Umberto I. L'uomo, dopo aver palpeggiato la vittima, una dottoressa specializzanda, ha tentato di sfilarle i pantaloni. Non riuscendo le ha rubato l'i-phone e un mazzo di chiavi. Le segnalazioni degli altri medici hanno permesso di rintracciare il pregiudicato. Trovato in casa il telefono e gli altri oggetti rubati
    Mercoledì, 27 giugno 2012 - 10:39:00


    Nella tarda serata di martedì personale del Commissariato San Lorenzo, operando con la collaborazione di questa Squadra Mobile, ha sottoposto a fermo di Polizia Giudiziaria Y.E.T., cittadino etiope di venticinque anni, pregiudicato, irregolare sul territorio nazionale, nei cui confronti sono emersi gravi indizi di colpevolezza per il reato di violenza sessuale e rapina aggravata.

    Il fermato, è stato riconosciuto come l’autore della violenza sessuale e la rapina commesse, nella serata dello scorso 24 giugno, all’interno degli spogliatoi del Policlinico Umberto I, contro una giovane dottoressa specializzanda.
    spogliatoio

    Infatti il reo, dopo aver palpeggiato la giovane donna, tentava di sfilarle i pantaloni e non riuscendovi per la sua reazione si impossessava del suo telefono cellulare I-phone e di un mazzo di chiavi. L’autore, sulla base della segnalazione di alcuni colleghi della vittima veniva rintracciato dall’autoradio del Commissariato San Lorenzo in Viale dell’Università nr. 37.

    Nel corso della perquisizione l’indagato, che ha tentato di sottrarsi al controllo opponendo resistenza al personale intervenuto, è stato trovato in possesso oltre che del mazzo di chiavi sottratto alla vittima anche di materiale vario, tra cui due coltellini e due telefoni cellulari su cui verranno avviati accertamenti. Inoltre la successiva perquisizione domiciliare effettuata in Via Cupa 1 dove ha il posto letto, consentiva di sequestrare anche il telefono I-phone rapinato alla dottoressa.

    Il P.M. di turno dottoressa Tiziana Cugini, titolare delle indagini, disponeva che il fermato venisse associato presso la casa Circondariale di Roma Regina Coeli.



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    Genova, 12enne schiava dei genitori. Mangia avanzi nuda sul balcone
    Mercoledì, 27 giugno 2012 - 09:41:00
    violenza

    Sequestro di persona e riduzione in schiavitù. Queste le accuse per una donna ecuadoriana e il compagno, genitori di una bimba di 12 anni. La coppia, che vive a Genova, è stata rinviata a giudizio dopo che ha costretto la bambina dodicenna a mangiare gli avanzi di cibo in una ciotola e a restare nuda per ore sul balcone di casa.

    Secondo quanto è stato riferito agli agenti del nucleo investigativo del commissariato, la bambina veniva insultata e doveva servire in tavola alla quale sedevano anche i due fratelli maschi. Alle richieste dei familiari doveva sempre rispondere "comandi". Per lei nessun piatto né posate ma solamente una ciotola dove mangiava gli avanzi.

    La madre, durante l'udienza preliminare davanti al gip Nadia Magrini, ha reso dichiarazioni spontanee sostenendo che la figlia era ribelle e violenta e l'aveva anche aggredito. Dice di averle imposto di fare i lavori domestici "finchè non avesse chiesto scusa".

    La donna, denunciata grazie a una segnalazione anonima al Telefono Azzurro, sarà processata insieme al compagno, patrigno della 12enne, il prossimo 19 novembre in Corte d'Assise.
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    Taglio alle spese: restano pensioni d'oro, tagli ai buoni pasto statali


    Il contenuto di questo articolo, pubblicato da Il Fatto Quotidiano - che ringraziamo - esprime il pensiero dell' autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

    Roma - Nessun taglio alle 100mila pensioni d’oro che ogni anno costano 13 miliardi. Sì invece a quello dei buoni pasto per 450mila dipendenti pubblici che fa risparmiare solo 10 milioni. E, ciliegina sulla torta, un pasticcio sulle gare d’appalto che potrebbe costare allo Stato 1,2 miliardi, corretto oggi in commissione grazie a un emendamento passato contro le intenzioni del governo. Prende insomma una curiosa piega la prima spending review del governo Monti. L’atto ufficiale sarà un decreto pesantissimo che il Consiglio dei ministri licenzierà dopo il Consiglio europeo del 28 e 29 giugno.

    Circa 20 miliardi di tagli così distribuiti: 4,2 miliardi nel 2012, dai 7 ai 10 per ciascun biennio 2013-2014. Il provvedimento punta a scongiurare l’aumento autunnale dell’Iva (dal 21 al 23%), mettere in sicurezza i conti pubblici e fronteggiare l’emergenza terremoto. Monti lo presenterà domani alle Regioni e quindi ai vertici del Pdl Berlusconi e Alfano. Poi la pausa per il vertice di Bruxelles e le consultazioni con i sindacati il 2 luglio. Ancora da fissare, invece, l’incontro con gli altri vertici della maggioranza Casini e Bersani.

    Come in dettaglio sarà raggiunto l’obiettivo di risparmio non è ancor chiaro ma il piano sarà modellato sul pacchetto-Bondi che mette nel mirino gli acquisti di beni e servizi della pubblica ammnistrazione (sanità in primis) e la spesa per il pubblico impiego. Con qualche sorpresa.

    Di sicuro le misure di risparmio non passeranno attraverso il tanto sospirato taglio alle pensioni d’oro dei manager pubblici. Qui la notizia è già ufficiale: il governo ha accantonato il tetto sulle pensioni sopra i 6mila euro dando parere negativo a un emendamento presentato dal deputato Pdl Guido Crosetto. Doveva essere una misura di equità nel gran calderone dei tagli ma nel Cdm in programma domani mattina non c’è n’è traccia. Da Palazzo Chigi filtra solo la promessa di riproporre la questione insieme alle misure sullo sviluppo. Si ripartirà da quell’emendamento che prevede che le pemnsioni erogate in base al sistema retributivo non possano superare i 6mila euro netti al mese mentre sono fatti salvi le pensioni e i vitalizi corrisposti esclusivamente in base al sistema contributivo. Per ora è tutto rimandato e il sistema continuerà ad elargire 109mila pensioni sopra gli 8mila euro che costano 13 miliardi di euro l’anno (dati Inps).

    Si va avanti a testa bassa, invece, sul contenimento dei costi della pubblica amministrazione. Nelle scorse settimane si è tanto parlato di una stretta sulle spese telefoniche della Pubblica amministrazione che parte dal Dipartimento della funzione pubblica per coinvolgere via via altri settori. Le chiamate saranno abilitate solo in ambito urbano per tutti mentre soltanto i dirigenti potranno fare chiamate nazionali e verso cellulari. "Una rivoluzione di buon senso", l’ha definita il ministro Filippo Patroni Griffi che ha emanato la circolare taglia bolletta. Parlare meno, mangiare meno. Perché prende sempre più consistenza l’ipotesi di un secco taglio ai buoni pasto dei dipendenti pubblici. Nel pacchetto dell’ex liquidatore Bondi c’è infatti un’ipotesi di messa a dieta di 450mila dipendenti che già da due anni subiscono il mancato adeguamento all’inflazione dei contratti collettivi. I loro buoni pasto passerebbero dai 7-8 euro attuali a un valore di 5,29 euro che è la soglia minima esentasse per il lavoratore (per cui non viene denunciato ai fini Irpef) e per il datore di lavoro (non viene calcolato ai fini previdenziali).

    Per il governo dalla dieta si ricaverebbero circa 10 milioni di euro. Una cifra che appare risibile ai sindacati di categoria che chiedono di ridurre i privilegi dei manage pubblici piuttosto affamare i dipendenti già in difficoltà. «Ridurre l’importo del buono pasto dei dipendenti pubblici a 5,29 euro, cioè la soglia massima esentasse, significa tornare al valore di acquisto di 15 anni fa e quindi togliere fisicamente il pane dalla bocca a tanti lavoratori senza far risparmiare in maniera significativa lo Stato». Lo sostiene Franco Tumino, presidente Anseb, l’associazione delle società emettitrici buoni pasto aderente a Fipe-Confcommercio, commentando alcuni contenuti della spending review.

    Su tutti questi provvedimenti si attende il muro di partiti e sindacati mentre è la Ragioneria centrale dello Stato a mettere le mani avanti su un altro capitolo delicatissimo della spending review, cioè la norma del decreto sulle aggiudicazioni di appalti che – secondo una modifica intervenuta nel passaggio in Senato – verrà applicata anche alle procedure di affidamento per le quali si è già proceduto all’apertura dei plichi. Secondo gli esperti di via XX Settembre questa scelta poteva comportare contenziosi e costare allo Stato oltre 1 miliardo di euro. Preoccupazioni riassunte in una lettera inviata al Parlamento dalla ragioneria generale dello Stato e dalla Consip. Oggi nelle commissioni Affari costituzionali e Bilancio della Camera un emendamento (approvato da Pdl e Udc, con governo e Pd contrari) ha ripristinato la regola secondo la quale l’apertura in seduta pubblica delle buste si applicherà solamente alle gare per le quali le buste non erano state aperte alla data dell’entrata in vigore del provvedimento.

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    Anche l’Olivetti si arrende

    redazione | Jun 14, 2012 | Comments 13 | 8,472 accessi

    L’ultimo “avamposto” della storica Olivetti è caduto. Lo stabilimento di Arnad in Valle d’Aosta chiude definitivamente i battenti, lasciando a casa 162 dipendenti. La società coinvolta è la Olivetti I-Jet, operante nel settore stampanti e fax e controllata da TelecomItalia. Il costante sviluppo delle nuove tecnologie e la concorrenza asiatica spietata non hanno lasciato scampo: il fax va in cantina. Laura Olivetti, la figlia del fondatore Adriano, esprime il proprio rammarico per la decisione: “Sono molto dispiaciuta per la chiusura dell’azienda, soprattutto perché si perdono nuovi posti di lavoro”. E ora è proprio questo il nodo da sciogliere: quale sarà il destino degli oltre cento dipendenti, sia valdostani sia dell’eporediese? Telecom ha ribadito il suo impegno nel trovare soluzioni per la ricollocazione dei lavoratori licenziati. Sindacati e società tenteranno di giungere a un accordo per arrivare a ricollocare, entro il primo anno di cassa integrazione straordinaria, almeno il 30% degli impiegati, assicurando ai restanti il secondo anno di ammortizzatore. I tempi stringono. Con ogni probabilità, a luglio ci sarà la prima tornata di accessi alla cassa integrazione, la quale coinvolgerà i circa 50 responsabili del gruppo di ricerca; per tutti gli altri se ne parla a fine anno con il termine delle commesse. Ma occorrono soluzioni anche per quei 40 dipendenti della Olivetti S.p.A che attualmente lavorano nello stabilimento di Arnad nel campo delle testine a impatto per il sistema bancario, postale e per la lottomatica.

    La liquidazione era ormai l’ultima opzione rimasta. “Il contesto non era più sostenibile”. Queste le parole di Enrico Monti, esponente della Fiom Cgil, il quale ricorda i falliti tentativi avviati ad ottobre da Telecom per la vendita dell’azienda o l’apertura a terzi investitori. Lo stesso sindaco di Torino, Piero Fassino, ha commentato l’accaduto in occasione del convegno “La fabbrica al tempo di Adriano Olivetti”, sottolineando che: “L’Olivetti rappresenta un pezzo di storia del capitalismo italiano”. “Adriano Olivetti – prosegue Fassino – interpretava il ruolo della fabbrica in maniera molto differente rispetto a come si fa oggi: vedeva l’azienda come un grande progetto sociale, ma anche come un esperimento urbanistico e architettonico”.

    Con la chiusura dell’I-Jet di Arnad, dunque, si pone la parola fine a un altro grande capitolo della storia industriale italiana.
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